Cinema, tono, mimica e social network.

La modalità più semplice di narrare una storia è quella di raccontarla a voce. Quando raccontiamo una storia si impiegano due elementi che non sono presenti nella scrittura: il tono e la pausa.

La voce umana ha una grandissima varietà di toni in relazione allʼestensione, che determinano lʼinterpretazione delle parole pronunciate. L’interpretazione in tutte le sue sfumature, il tono di voce, le pause, generano l’atmosfera del racconto e rendono credibile e “memorabile” la storia.

Nel cinema dei primordi che si serviva soltanto di una macchina fissa, invece, risultava difficile rintracciare i toni giusti per raccontare la storia e riuscire a sussurrare, gridare, spaventare o entusiasmare…

 (Img: fotogramma dal film L’innaffiatore innaffiato, 28 dicembre 1895, considerato il primo film muto)

Il primo tentativo di “far parlare” il cinema è stato attraverso la musica di pianisti o orchestre.

Si trattava di un espediente ripreso dal teatro nella speranza di riproporre le emozioni che la musica lirica, allora popolarissima, riusciva a suscitare.

Alla musica venne così affidato il compito di sottolineare, suggerire e accompagnare le emozioni suscitate dalle immagini in movimento.

La musica rimaneva, comunque, un elemento esterno al racconto filmato, anche se generata simultaneamente alla proiezione delle immagini.

(Img: il cinema Aurora)

Così, a pochi anni dalla sua nascita, il cinema divenne adulto “inventando” i propri toni espressivi – chiamati campi e piani, e progredendo ulteriormente sino ad “osare” il primo piano.

La possibilità di variare le inquadrature stimolò la tecnica di montaggio, ovvero la ricerca dell’armonia fra le varie distanze, i tempi di attenzione, i sentimenti che l’alternanza di campi, piani e loro durata provocano nello spettatore.

Possiamo dire che il cinema non è scrivere con le immagini ma, piuttosto, “parlare” con le immagini.

Perché nel linguaggio filmico, a differenza di quello letterario, ad ogni variazione sintattica può corrispondere un significato, più o meno comprensibile.

Piccolo o grande che sia, il «pezzo» di un film è racchiuso in un’inquadratura, così come un contenuto in un post che, tecnicamente, è e resta lo spazio visivo ripreso da un obiettivo attraverso il quale l’autore e parallelamente il visual designer opera una selezione visiva.

Il settimo sigillo (1957) – Ingmar Bergman

Triangolo rettangolo con l’angolo retto in basso a destra anche detto più semplicemente: diagonale a destra.

Nicola Mennichelli

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